È molto probabile, purtroppo, che dovremo convivere con una massiccia presenza delle bicilette sulle strade cittadine ancora per molto tempo, anche ben oltre la fine della pandemia attuale. Mi era già capitato di scrivere di tutti i difetti di questo mezzo di trasporto, mentre i miei lettori si saranno sicuramente accorti anche di quanto è difficile muoversi – a piedi o in auto – nel traffico caotico dei ciclisti: per qualche strano motivo quei personaggi pensano di essere immortali, sempre visibili o non traumatici per le ossa e le carrozzerie altrui.
Beh, la stupidità umana è un argomento infinito, ma spesso poco interessante perché ci fa scivolare verso le lamentele improduttive. Parliamo di qualcosa di positivo: per esempio, della storia tecnica.
Più di nove anni fa, a giugno del 2011, mi era finalmente capitato di vedere dal vivo un penny-farthing: una delle prime versioni del biciclo, particolarmente diffusa negli anni ’70 e ’80 del XIX secolo. Tra parentesi: (il nome, come potete immaginare, rimanda alle dimensioni di due monete inglesi).
A me – come, presumo, anche a voi – era capitato più volte di vedere questo tipo biciletta nel cinema, nei documentari e sulle immagini stampate. Ma fino a quel momento non mi era mai capitato di poter studiare bene i vari suoi dettagli tecnici. Mi ricordo ancora bene che le persone che erano con me al museo mi avevano portato vi a fatica…
La composizione della prima foto non è un granché a causa del posizionamento sfavorevole della bicicletta: si trovava in un corridoio relativamente stretto. Mentre retrocedevo per inquadrare bene il mezzo, avevo addirittura rischiato di calpestare un altro pezzo da museo. Sulle immagini successive vedrete però i vari dettagli, fotografabili con maggiore facilità. Proprio a esse è dedicato il post odierno.
Prima di tutto vediamo i pedali. Essi azionano direttamente la ruota anteriore ormai girando sul piano verticale, ma si vede chiaramente che si tratta di un sistema «erede» dei pedali a spinta utilizzato sulle bicilette degli anni precedenti. Preciso, inoltre, che l’asse quasi verticale in basso (quello con i bulloni di colore grigio chiaro) non è un pezzo della bicicletta, ma il supporto estraneo che la tiene nello stato verticale.
La posizione della sella, se ho capito bene, è regolabile tramite lo spostamento lungo quella curva metallica. Tra il telaio e la ruota, inoltre, si vede il freno manuale che andava schiacciato contro la ruota. Meno male che non si usavano ancora le gomme gonfiabili.
La forma del manubrio è semplicemente bella.
Prima di averla vista con i propri occhi, non riuscivo proprio a capire come si facesse a salire su questa bicicletta. Quando ero piccolo, addirittura, pensavo che la gente «salisse» nello stato orizzontale per essere poi alzata da qualcuno assieme alla bici. Mentre in realtà sulla parte posteriore del mezzo sono presenti dei piccoli gradini rotondi.
Ecco, ora anche voi avete un mistero tecnico-storico in meno.
Io, da parte mia, aggiungerei che forse questo è l’unico tipo della bicicletta che sarei disposto a utilizzare, anche se raramente, in città. Perché? Perché permette di essere sempre ben visibile, garantisce l’ammirazione da parte della gente e la strada sempre libera e, una cosa importante nella situazione odierna, assicura la distanza di sicurezza dagli altri membri del traffico cittadino ahahaha
Rubriche: Senza categoria
Tags: biciclette