Come cambia l’idea del progresso

(25 settembre 2020)

Ormai da mesi tantissime persone, aziende e organizzazioni si esercitano nell’immaginare il mondo del «dopo Covid». In un certo senso fanno bene perché, ovviamente, ogni evento di simile portata ha un impatto abbastanza forte sulla nostra vita. Dall’altra parte, sulla base delle esperienze passate, possiamo facilmente osservare che tutti i cambiamenti seguiti alle grandi situazioni di emergenza non sono altro che il normale progresso. Il progresso è un fenomeno inevitabile in ogni aspetto della vita umana e si sarebbe verificato anche in assenza delle grandi crisi. Me le situazioni di crisi, solitamente, danno una bella spinta al progresso. A questo punto, la prima cosa che devono imparare i semplici osservatori dei cambiamenti in corso è distinguere il progresso e le misure temporanee volte alla gestione della crisi.
Il mio esempio preferito, in questo senso, rimane l’11 settembre 2001 (forse perché è uno dei grandi eventi storici capitati nel corso della mia vita). Nel periodo iniziale avevamo osservato dei controlli e limitazioni intensi e spesso assurdi negli aeroporti, avevamo visto guardare con sospetto le persone barbute etc. Ma nel lungo periodo lo stile della nostra vita quotidiana non è cambiato: la gente non ha smesso di viaggiare (e, in particolare, prendere l’aereo), sulle strade non sono comparsi dei posti di blocco, nessuno ci ha obbligato a mostrare il contenuto delle borse a ogni vigile incontrato. Sono invece cambiate notevolmente le tecnologie di sicurezza. Uno dei segni distintivi di ogni tecnologia fatta bene è la sua invisibilità ai non professionisti.
Oggi, nel 2020, non è necessario avere dei poteri extrasensoriali per capire che la pandemia, prima o poi, finirà. Le persone comuni ricominceranno dunque progressivamente a vivere una normale vita attiva: incontrarsi come e dove si vuole, lavorare in gruppo, viaggiare liberamente in tutto il mondo etc. Allo stesso tempo, molte più persone si accorgeranno che non è più obbligatorio perdere tempo per andare fisicamente a fare la spesa o sprecare un giorno di ferie solo perché domani all’ora x deve passare l’idraulico a fare un lavoretto da cinque minuti.
Ma l’aspetto meno banale che mi incuriosisce tanto in questo periodo è una delle concezioni pre-Covid del progresso. Infatti, fino all’inizio del 2020 ho sentito parlare tantissimo della sharing economy. In parole povere, si tratta di quel modello economico nel quale le persone tendono a condividere sempre più cose: gli spazi e gli strumenti di lavoro, i mezzi di trasporto, i vari oggetti costosi di uso non quotidiano, gli attrezzi sportivi etc. Ebbene, proprio l’idea della condivisione è ora in una forte crisi: in parte è inutile (la gente è ferma a casa) e in parte è pericolosa (o, almeno, potrebbe essere considerata tale da chi ha paura di essere contagiato dal virus presente sulle superfici fisiche). Vorrei tanto vedere uno studio serio sull’impatto della pandemia sulla sharing economy. E poi, nel lungo periodo, vorrei anche osservare se questo modello riesca a riacquistare la popolarità di prima. Perché la condivisione unisce le persone, mentre la pandemia le divide (rendendo necessario l’acquisto in proprietà di molte cose prima condivise).
Quasi quasi sfrutto il lavoro gratuito di qualche prossimo tesista per la ricerca delle fonti.

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