Oggi, finalmente, possiamo parlare di alcuni buoni segnali provenienti dal fronte covidico. Pare che all’OMS abbiano finalmente iniziato a capire qualcosa:
One of the World Health Organization’s six special envoys on Covid-19 has highlighted Sweden’s virus response as a model that other countries should be emulating in the long run.
In sostanza, stiamo andando verso il riconoscimento del fatto che il clima di panico permanente, l’adozione delle limitazioni ridicole e lo sconvolgimento totale del ritmo abituale di vita delle persone non producono alcun affetto positivo ai fini della lotta contro il coronavirus. Anzi, la creazione artificiale delle «ondate» del virus potrebbe essere paragonata a una amputazione di un arto a piccoli pezzi per fare «meno male» al paziente. Ma i difetti di tale comportamento si vedono abbastanza facilmente anche dai dati statistici (certo, i numeri vanno poi analizzati assieme al contesto nel quale sono stati ottenuti, ma ora ci interessa la portata del problema).
Proviamo, per esempio, a confrontare la situazione in tre Stati. In qualità del primo esempio prendiamo la Spagna, quindi lo Stato europeo con il lockdown probabilmente più severo del continente:
In qualità del secondo esempio prendiamo l’Italia che ha avuto un lockdown meno pesante (agli italiani potrebbe sembrare impossibile, ma è vero) ma in molti aspetti simile:
E, infine, in qualità del terzo esempio prendiamo la tanto criticata precedentemente Svezia:
A questo punto devo constatare che in Italia — dove tra meno di due settimane riaprono le scuole e poi, progressivamente, anche alcune altre cose — diverse persone devono ora pregare poiché nessuno decida di organizzarsi in massa per chiedere i danni per quei due mesi di interruzione della vita. O almeno di fare delle domande molto scomode.
P.S.: tutti i grafici sono stati presi dal sito worldometers.info