Devo constatare che l’articolo del «Corriere della Sera» sulle festività russe, segnalatomi qualche giorno fa, è un po’ caotico e impreciso. Così, non ho mai incontrato (ma nemmeno sentito nominare) un russo intenzionato a festeggiare il Natale cattolico o l’Epifania del 19 gennaio. Probabilmente perché, nonostante tutte le particolarità che mi sono contraddistinguono, le mie amicizie/conoscenze e le mie letture sono limitate alle persone mentalmente regolari.
Allo stesso tempo, l’articolo solleva due argomenti inerenti alla quotidianità russa che, da una parte, non mi sarebbe mai venuto in mente di raccontare e, dall’altra parte, spesso risultano inconcepibili per i non russi.
Il primo argomento è, effettivamente, il recupero di tutte le festività che per la colpa del calendario nell’anno x coincidono con il fine settimana. Si tratta di una tradizione secondo me un po’ stupida, ma il fatto rimane: se, per esempio, la festa y capita di domenica, il lunedì seguente diventa non lavorativo.
Il secondo argomento, invece, andrebbe a essere precisato ancora meglio. Perché, oltre alle normali ferie di un mese, i lavoratori russi hanno per legge due periodi di vacanze pagate: i primi sette giorni di gennaio (con l’eventuale recupero delle festività) e i primi nove giorni di maggio (fino ai primi 2000, oltre alla Giornata della Vittoria del 9 maggio, per qualche motivo incomprensibile si festeggiava pure il 10 maggio). Ogni periodo delle vacanze, poi, può allungarsi grazie ai finesettimana capitati bene. Si tratta del riposo in aggiunta alle ferie (le quali possono essere prese come e quando ci si mette d’accordo con il proprio datore di lavoro).
Alcuni miei amici e conoscenti italiani, per esempio, non riescono proprio a concepire questo secondo aspetto appena descritto. Eppure provate a immaginare una ipotetica analogia italiana: per esempio, che le chiusure forzate delle aziende italiane ad agosto e poi tra il Natale e l’Epifania andassero ad aggiungersi al mese di ferie da prendere quando si vuole.
In sostanza, in Russia si lavora dieci mesi scarsi all’anno. Ne sono particolarmente scontenti i proprietari e i dirigenti delle aziende private. In sostanza, per due mesi all’anno sono costretti a pagare le persone che non producono e, spesso, rientrano fisicamente affaticate dopo le vacanze altamente alcoliche invernali.
Il Paese del riposo
(10 dicembre 2019)
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