Non so se tutti se ne sono accorti, ma ieri è avvenuto un fatto epocale nell’automobilismo: è stato prodotto l’ultimo esemplare della Volkswagen [new] Beetle. La parola ultimo significa che non ce ne saranno più.
Naturalmente, non avrebbe molto senso riportare qui un semplice fatto di cronaca industriale, seppure sia di una grande importanza storica. Scrivo il presente post per sottolineare che pure in un ambito di valore intellettuale irrisorio come il marketing si possono fare o delle scelte di stupidità immaginabile, o quelle uniche possibili. Alla prima categoria delle scelte appartiene, per esempio, quella di un noto produttore automobilistico europeo che nel 2003 assegnò il nome di un amatissimo modello storico a una vettura che sa di nulla (tuttora in produzione). Si trattò di un tentativo estremo di accontentare in qualche modo il pubblico rammaricato per la cessione di produzione del modello vecchio. La storia successiva di quel produttore – ma non solo essa – insegna che farsi guidare dal pubblico invece di guidarlo è una strategia da perdenti.
Quindi spero che la Volkswagen faccia l’unica scelta saggia possibile: lasciare il «Maggiolino» nei ricordi positivi di chi ama le automobili belle.
Io, intanto, inserisco la prima generazione del Beetle nella mia lista personale delle auto candidate alla modernizzazione personalizzata. Ma troverà la dura concorrenza delle
– Cadillac Coupe de Ville (la versione del 1974),
– BMW E30 (la versione a due porte degli anni 1982–1994),
– Mercedes-Benz W116 (degli anni 1972–1980),
– Alfa Romeo Spider Duetto (la seconda serie degli anni 1969–1982),
– Jaguar XJ-S (XJS) (degli anni 1975–1996)
o, infine,
– Volvo P1800.
Sì, come potete vedere, ho i gusti automobilistici strani. Ma almeno vi ho avvisati, quindi vedendo, tra qualche anno, una di quelle auto sarete autorizzati a controllare se dentro ci sono io.
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