Lo sapete già: il 48,1% ha detto di voler restare, mentre il 51,9% ha detto di voler tornare libero.
A differenza di molti non vedo una grossa tragedia nell’abbandono dell’UE o addirittura nella disgregazione di quest’ultima. Infatti, ogni Stato, se diretto da persone professionalmente adatte, è capace di produrre in proprio la burocrazia idiota o, al contrario, le regole vantaggiose per le aziende e persone straniere. Anzi, al di fuori da una organizzazione interstatale altamente regolamentata ci sono più possibilità di offrire qualcosa di veramente interessante al mercato globale e concorrenziale. Insomma, non è detto che l’Inghilterra debba per forza cadere in una crisi permanente: dipende tutto da come sfrutta la propria libertà nei prossimi anni.
Quanto ho appena scritto può essere collocato nella categoria dei vantaggi a lungo termine. Tra gli effetti a breve termine, però, gli elettori inglesi hanno già raggiunto i seguenti:
1) L’imminente trasferimento del centro finanziario dell’UE in Germania;
2) Il rafforzamento del peso politico nell’UE della Germania e della Francia (si spartiscono la parte inglese);
3) Il rischio di vedere una sequenza di referendum sul modello di quello scozzese, ma con i risultati opposti a quello del 2014;
4) L’indebolimento della moneta nazionale (ma questo può anche essere, se dura nel tempo, un vantaggio per l’economia).
Ora facciamoci una scorta di pop corn e mettiamoci a osservare. L’esperienza inglese può tornare utile a tutti.
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