Il museo cittadino di Amsterdam (Stedelijk Museum) ha iniziato a indicare – nelle proprie descrizioni sui cartelli informativi fisici e sul sito web – il pittore Kazimir Malevič come un artista ucraino e non più come russo. Malevič nacque a Kiev (anche se all’epoca fu il territorio dell’Impero russo) da genitori polacchi e passò una parte significativa della propria vita privata e professionale sul territorio «tradizionale» russo, ma va bene: si hanno dei motivi formali anche per definirlo ucraino. Se in questo periodo particolare qualcuno possa essere rasserenato dalla assegnazione di una nuova appartenenza nazionale a un artista di portata mondiale, accettiamolo pure.
Allo stesso tempo, possiamo notare che ormai si tratta di una tendenza. A febbraio, per esempio, si è saputo che il Metropolitan Museum of Art di New York ha cambiato le didascalie dei dipinti di Ivan Aivazovsky, Ilya Repin e Arkhip Kuindzhi presenti nella collezione del museo: ora accanto ai loro nomi si legge che sarebbero dei pittori ucraini e non [più] russi.
Tutti questi cambiamenti costituirebbero un motivo sufficiente per scandalizzarsi o allarmarsi? Per le persone normali sicuramente no. Infatti, dalla tendenza osservata mi sembra di capire che nell’Occidente stia aumentando la capacità di non definire più come «russi» tutti coloro che vengano dall’ex territorio sovietico, ma di tentare di comprendere le loro differenze. Paradossalmente, non è una tendenza nazista (senza la divisione dei terrestri secondo il criterio nazionale saremmo stati molto meglio), ma, al contrario, è una utile eliminazione delle generalizzazioni offensive. Quelle come «africano», «latinos» etc.
Ci voleva proprio qualcosa di positivo in questi tempi brutti.
P.S.: tra le generalizzazioni offensive avrei aggiunto anche «afroamericano», ma le persone povere di cervello avrebbero perso tutto il testo precedente.
Una tendenza positiva
(3 marzo 2023)
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