Il petrolio russo

(31 maggio 2022)

Come avrete già letto, la Commissione europea ha finalmente trovato il modo di limitare l’import del petrolio russo senza mettere in difficoltà alcuni Stati-membri. Sarà vietato solo l’import via mare (e non via gli oleodotti), il quale costituisce comunque più del 75% dell’import russo. Si programma di aumentare tale quota – entro la fine del 2022 – fino al 90%.
Le conseguenze economiche a breve termine sono banali ed evidenti: i prezzi del petrolio (e quindi dei prodotti derivanti da esso) cresceranno.
Non tutti, però, sono capaci di immaginare le conseguenze logistiche e produttive. A breve termine la Russia non riuscirà a esportare più petrolio via gli oleodotti: questi ultimi vengono già impegnati quasi al 100% delle loro capacità in tutte le direzioni (non solo verso l’Europa). A medio termine la Russia potrebbe tentare di esportare il petrolio via mare verso l’Asia: ma gli Stati asiatici non hanno bisogno di aumentare sensibilmente i volumi d’acquisto e, sicuramente, sfrutteranno la situazione per ottenere degli sconti (a questo punto il prezzo potrebbe iniziare a scendere / smettere di crescere su scala globale). A lungo termine, infine, vedremo la ridistribuzione dei mercati del petrolio: la Russia venderà di più all’Africa e all’Asia, mentre i fornitori (ormai ex) di questi ultimi venderanno all’Europa (e a questo punto la situazione si stabilizza).
Non bisogna essere un genio di economia per giungere alle suddette conclusioni.
Però è importante capire che la riduzione del finanziamento della guerra (che avviene anche con l’acquisto delle materie prime russe) deve essere una operazione a breve termine non solo per delle ragioni economiche.
Se ci si organizza come si deve, andrà tutto bene (ops, quelle tre parole non ci vogliono lasciare…).

Rubriche: Senza categoria

Può seguire i commenti a questo post via RSS 2.0.
Per ora siamo a 0 commenti

Commentare