Chiavenna, 19 agosto 2020

Scegliendo la destinazione di un nuovo viaggio di agosto, avevo questa volta pensato di applicare ben due criteri. Il primo è ormai da considerare tipico del mio 2020: un luogo poco affollato dove si possa camminare e respirare serenamente senza la mascherina. Il secondo criterio, invece, doveva garantire la qualità artistica o culturale del luogo da visitare: per fortuna, qualche settimana prima avevo scoperto l’esistenza della «bandiera arancione», un riconoscimento assegnato dal Touring Club Italiano ai piccoli comuni più interessanti dell’entroterra. Grazie al rispetto di questi due criteri, il risultato della scelta è stato molto simile a quello che all’inizio di giugno mi aveva portato a Canzo: questa volta ho scelto Chiavenna, un piccolo comune bello dal quale partono dei sentieri montani turistici (ma di difficoltà maggiore risetto a quelli di Canzo).
Come al solito, inizio il mio racconto su quanto visto dalla descrizione del centro abitato.
Il centro storico di Chiavenna non è grandissimo ma comprende una buona parte del territorio edificato. Esso trasmette tanta tranquillità ed è pieno di edifici interessanti sia nel loro complesso, sia nei singoli dettagli.

Alcuni dettagli belli sono facilmente individuabili; alcuni dettagli curiosi si scoprono solo se il visitatore è adeguatamente attento.

A Chiavenna è presente anche uno dei musei potenzialmente più curiosi al mondo: il Museo dei Vigili del Fuoco che raccoglie gli automezzi e le attrezzature dei pompieri della prima metà del XX secolo. Purtroppo, è aperto solo sabato pomeriggio, quindi non sono in grado di commentare la reale qualità del posto.

Il castello dei Conti Balbiani (costruito poco dopo la metà del XV secolo) è invece una grande delusione. Si sostiene che di «originale» abbia ormai solo la facciata e le due torri laterali (anche se più o meno tutti i miei lettori capiscono che un castello non poteva in origine avere le finestre e l’ingresso di quel tipo), mentre il resto fu abbattuto nel 1525 dai Grigioni e ricostruito nel 1930 da non si capisce chi. Inoltre, il castello – chiamato anche palazzo Balbiani – è di proprietà privata e non può quindi essere visitato all’interno.

Decisamente più bella è la Collegiata di San Lorenzo, costruita nel V secolo e ampliata nei secoli successivi.

Solo l’altezza del campanile sembra sproporzionata alle dimensioni della Collegiata.

Verso la periferia, invece, la densità degli edifici interessanti cala (è normalissimo) e a volte si fa fatica a capire se un palazzo sia stato stilizzato per sembrare antico oppure restaurato in un modo esageratamente attento.

L’industria locale non sembra essere molto attiva…

Ma forse è arrivato il momento di andare a vedere le ricchezze naturali della zona. Strada facendo prestiamo un po’ di attenzione alle opere umane più moderne. Per esempio, è curioso il modo in cui i marciapiedi di Chiavenna passano dallo stato fisico allo stato grafico.

I cestini di Chiavenna assomigliano a quelli milanesi, ma in realtà hanno due funzionalità importanti in più: il posacenere e le sezioni per la raccolta differenziata. In più (o di conseguenza), hanno pure la protezione contro l’inserimento di rifiuti ingombranti.

Ma osservando tutti questi dettagli non dobbiamo perdere di vista uno degli obiettivi più importanti del nostro viaggio: le cascate dell’Acquafraggia. Sono facilmente raggiungibili a piedi dal centro storico di Chiavenna. Camminando sul marciapiede/ciclabile di fianco alla stara statale 37 in direzione Piuro, ci si arriva in circa mezzora (spero che siate bravi a camminare). Ma già a poco più di metà strada si potrà accertarsi con i propri occhi di non avere sbagliato la direzione.

Certo, non sono le cascate del Niagara, ma a livello italiano l’immagine è comunque abbastanza bella.

A questo punto va precisato che d’estate, pure nell’anno della pandemia del Covid-19, queste cascate sono ben visitate. Quindi chi vuole vederle senza troppi umani, dovrebbe provare ad andarci in primavera o un giorno feriale non di metà agosto.

In più, si tenga presente che il letto del fiume e il prato adiacente d’estate sono pieni di bagnanti. Chi è interessato a questo genere di passatempo può unirsi alle masse. Oppure al contrario.

Dalle cascate, poi, partono dei sentieri turistici in montagna. Uno di essi mi interessava particolarmente perché costituiva l’unica strada per raggiungere Savogno: un borgo che è rimasto totalmente disabitato dal 1968 al 2011. A partire dal 2011, invece, è costantemente abitato solo da una (1) persona. Potrei ipotizzare il motivo di questa scarsa popolarità residenziale: l’unico modo di raggiungere il luogo è percorrere a piedi una rapida salita di 2886 gradini un po’ sconnessi (anticipo che li ho percorsi tutti, ma non sono stato io a contarli: avrei sbagliato più volte, dovendo quindi ricominciare daccapo).

Durante la salita si notano, prestando un po’ di attenzione, alcune tracce interessanti della attività umana dei secoli passati. Per esempio, qualche grotta murata e attrezzata di una porta (ho già visto una cosa del genere a Finale Ligure).

Molto più frequenti, lungo lo stesso percorso, sono le casette in pietra abbandonate. Lo stato di conservazione è molto vario, ma tutte sembrano inutilizzate da decenni. Inoltre, molto spesso quegli edifici sono stati mascherati dalla natura. Mascherati talmente bene, che il passante si accorge della loro presenza solo arrivando a pochi metri di distanza.

All’inizio della salita avevo preferito il percorso diretto verso Savogno (invece del sentiero che comprende anche un tratto panoramico delle cascate) e probabilmente proprio per questo ho potuto contemplare alcune belle vedute della Valchiavenna.

La salita fino a Savogno è stata fisicamente un po’ impegnativa, ma non unitile. Preferirei parlare del risultato finale in un racconto separato.
Alla prossima!