Certosa di Pavia, 28 agosto 2012

Il secondo tentativo è andato bene: sono riuscito a vedere il monastero di Certosa di Pavia. La volta scorsa per stupidità propria avevo dovuto accontentarmi dell’omonimo comune, il reportage sul quale avete sicuramente visto e letto.

I lettori più vecchi sanno già che non pubblico quasi mai le foto delle tradizionali bellezze architettoniche: l’internet, le librerie e le edicole ne sono pieni e la qualità delle immagini è, a volte, superiore a quella che avrei potuto produrre io. Quindi anche stavolta di foto tradizionale ne metto solo una:

Il grosso dei lavori di costruzione della attuale Certosa è stato fatto tra il 1396 e il 1465. Fino al 1782 il monastero fu abitato da 24 monaci certosini (12 nei primi anni) che vivevano in clausura totale. Ognuno di essi aveva una cella a due piani.

La galleria sulla quale danno gli ingressi delle celle (costruite lungo tre lati del quadrato) è decorata con tante figure diverse in terracotta.

Ogni cella ha un proprio indirizzo costituito da una lettera. Accanto a ogni porta vi è l’accesso a una botte girevole per il passaggio di cibo, materie prime da lavorare ed i prodotti finiti. Il meccanismo è fatto in modo tale da non permettere alle due persone che si scambiano di vedersi.

Gli unici arredi rimasti sono un camino e l’armarium – la libreria chiudibile a chiave, alla quale (per un motivo ignoto ma di fatto vandalico) hanno tolto lo sportello e il rivestimento interno in legno.

Come potete vedere, la cella ha due piani non proprio piccolissimi: secondo gli standard di oggi ci starebbe una famiglia di tre o quattro persone. E c’è pure un giardino di circa 100 mq.

Il fresco sotto il portico era troppo rovinato per essere identificato. Un dettaglio interessante: la parte posteriore del camino da nel giardino del vicino – erano belli i tempi in cui non si badava al risparmio energetico e l’efficienza.

Ho visto pochissimi monaci all’interno della Certosa. Ognuno di loro si metteva a gridare istericamente «No foto!» appena avvistava una macchina fotografica impugnata e rivolta contro un qualsiasi dettaglio del monastero. E siccome secondo i racconti di alcuni miei amici non è sempre stato così, suppongo che ora i monaci cerchino di guadagnare pure con i diritti d’immagine. Ebbene, secondo me la gente tirchia va punita: uscendo non ho lasciato alcuna offerta (mentre l’ingresso era gratuito).

Gli edifici religiosi a parte, l’unica cosa interessante è il torchio per uva che è stato utilizzato fino al 1911. È fatto di un unico pezzo d’albero (quercia) 10×0,8×0,8 metri.

Da una parte del torchio troviamo una lunga vite (sempre di legno) con la quale lo si alza e si abbassa. Non so come hanno fatto a conservarlo fino ai giorni nostri in queste condizioni.

Ecco, ora posso dire di aver mostrato tutto. Una volta usciti dal monastero potete fare un giro veloce nei dintorni e andare a vedere qualcos’altro.