Avedée (e il sentiero), 7 agosto 2024

Per tradizione – non vecchia, ma ormai tanto cara a me – pure nel 2024 ho dedicato i miei viaggi estivi allo studio della montagna: è un bel modo di sfuggire al caldo, vedere tante cose belle e interessanti, stare in mezzo alla natura, fare un po’ di attività fisica (che nella vita quotidiana urbana di solito ci manca) e, spesso, conoscere delle persone libere dai cliché comportamentali (quelle che d’estate non si sentono obbligate ad andare al mare anche nonostante un totale disinteresse). In particolare, una parte delle mie vacanze estive è stata nel 2024 dedicata allo studio della Val Codera: una zona dove non ci ero mai stato prima, ma che permette (come tante altre, in realtà) di fare tutte le cose appena elencate e, allo stesso tempo, vedere un po’ di centri abitati interessanti… Infatti, io ho sempre viaggiato per «spiare» cosa si inventano gli umani nei luoghi diversi dai miei e prendere tutto il meglio: per usarlo o per raccontarlo a voi.
Il punto di partenza più comodo verso i posti migliori della Val Codera per una persona che decide di spostarsi con i mezzi pubblici (ma forse non solo) è, secondo me, Novate Mezzola. Dopo essere scesi dal treno (o dalla propria macchina) e, eventualmente, esplorato questo paese non particolarmente grande, bisogna dirigersi verso il sentiero di montagna. Trovare quest’ultimo è abbastanza semplice: partendo dal centro storico (o dalla stazione ferroviaria) di Novate Mezzola, andiamo fino al torrente Codera (il suo letto bianco e largo è inconfondibile), attraversiamo il ponte e svoltiamo subito a sinistra. Ma in realtà si può camminare anche lungo la riva di prima: l’importante è vedere i primi cartelli per Codera (in carta plastificata, ahahaha) e arrivare in fondo alla via del Castello.

La strada, per ora, è ancora prevalentemente asfaltata e quasi piana. Bisogna iniziare a stare attenti ai cartelli marroni e decidere quale giro della Val Codera fare: passando prima per i centri abitati Avedée e Codera oppure per San Giorgio (in entrambi i casi è possibile fare un percorso a cerchio più o meno lungo tornando sempre a Novate Mezzola).

Io avevo scelto la prima versione del percorso. La mia salita iniziava poco dopo questa cappella, dove c’è una piccola piazza-parcheggio (al momento del mio passaggio ne stavano rifacendo la pavimentazione, dunque non so esattamente come diventerà al termine dei lavori).

Ma proprio da quella piazzetta inizia la scalinata del sentiero: la riconoscete grazie un ammassamento di cartelli.

Una parte significante del sentiero, soprattutto i suoi primi circa 70%, è in pietra: sotto forma di gradini (di altezza, profondità e inclinazione molto vari) o di sentiero acciottolato (con delle pietre di forma molto varia). Di conseguenza, ci vogliono una certa sicurezza nei movimenti e delle scarpe adatte: i piedi – comprese le caviglie – vi saranno grati!

Nel corso della salita si hanno diverse occasioni di contemplare dei paesaggi belli: le cime delle montagne che si avvicinano, il lago di Mezzola che rimane sempre più in basso…

Per fortuna, la parte iniziale del sentiero ha tanta ombra offerta dai castagni, spesso anche molto grandi. Grazie a ciò si riesce ad arrivare meno faticosamente a una quota dove le temperature estive sono meno, molto meno atroci.

Ben oltre la metà della salita l’ambiente circostante inizia a diventare meno boschivo e più roccioso. Iniziano a comparire degli avvisi importanti (spoiler: io non ho visto cadere nemmeno un sasso, però al momento del mio passaggio c’era poco vento ed erano capitati solo pochi minuti di pioggia).

Ma il sentiero continua a essere bello.

A un certo punto del sentiero diventato ormai completamente roccioso, a lato, si incontra un vecchio bulldozer! In base alle sue condizioni attuali posso presumere che si trovi in quella posizione da diversi decenni, ma non riesco a capire come e perché sia stato arrivare in questo punto del sentiero (il quale è più o meno come sulla foto precedente). L’unica ipotesi nata nella mia testa è: il mezzo era utilizzato in una cava che ora non si vede più a causa di qualche grande frana. Sono curioso di scoprire la sua storia vera! E, ovviamente, sarebbe bello conoscere il nome del modello… Nel frattempo aggiungo che il bulldozer odora ancora di olio e di metallo.

La salita, intanto, continua. A sinistra e a destra del sentiero sono le scogliere quasi verticali: una va verso l’alto e l’altra verso il basso.

Una delle foto più importanti dal punto di vista informativo per qualche strano motivo mi è venuta malissimo (e per qualche motivo ancora più strano non me ne ero accorto al momento). Ma il fatto è che quella cappella con una piccola lavagna di legno in alto a destra segna la fine del tratto più faticoso della strada. Dopo di essa, infatti, il sentiero non ha più delle salite rapide e/o lunghe, mentre la pavimentazione diventa molto più comoda (in media) per i piedi sensibili di una persona che passa undici mesi all’anno dietro a una scrivania.

Inoltre, quella cappella si trova in un posto ideale per una pausa: è possibile sedersi su delle grandi pietre piatte, riposarsi senza rischiare che qualche sasso arrivi in testa e contemplare la vista sul lago.

Dopo il meritato riposo – ma anche saltandolo – si procede avanti. In alcuni punti ci sono ancora i gradini di pietra, ma pochissimi. Stranamente, proprio ora che la strada è molto più semplice, iniziano a comparire i cenotafi posti in corrispondenza dei luoghi di morte degli escursionisti sfortunati… Perché?.. Probabilmente, in ogni singolo caso la colpa è stata della distrazione («ora che la strada è semplice, posso camminare come in città») e/o del maltempo (inizia a piovere e la persona scivola sulle foglie o sulle pietre bagnate). E allora vi do dei consigli banali ma preziosi: 1) sui sentieri di montagna non bisogna distrarsi, mai; 2) se non siete escursionisti esperti, evitate di andare in montagna con il tempo incerto o brutto; 3) sui sentieri di livello di difficoltà alto (o medio-alto) andateci solo in compagnia di una persona esperta (se non siete esperti voi) o, comunque, non in solitaria. La vita non è una partita che può essere salvata e ripresa dal punto che volete.

Ed ecco che si vede il primo edificio!

Siamo arrivati alla località Avedée, uno dei dieci nuclei edificati della Val Codera. Dal punto di vista amministrativo tutti quei nuclei sono assegnati al comune di Novate Mezzola, quindi il «cartello» è fatto in questo modo:

In base al censimento del 2021, in tutta la Val Codera – di cui fa parte Avedée ma non Novate Mezzola – risiedono appena 15 (quindici) abitanti. Avedée, uno dei villaggi più piccoli della valle, sembra però essere privo di abitanti fissi: le sette case che ho visto sono integre e non abbandonate, ma chiuse e apparentemente non utilizzate in un modo quotidiano, regolare.

Anche se ho visto che tutte hanno la corrente elettrica allacciata in un modo non artigianale / abusivo: sono presenti pure le cassette dei contatori.

È quasi sempre presente pure lo scarico moderno dell’acqua piovana. Ma non ho avuto la possibilità di capire se ci sia anche l’acquedotto per l’uso domestico.

Ho notato pure uno sportello tipico che si usa per altri contatori… se c’è pure il gas, sono delle case perfette per le vacanze! Anche se in un posto del genere sarebbe più logico e autentico utilizzare un camino e/o un forno per cucinare, produrre l’acqua calda e scaldare la casa.

Una delle case è tanto curata da avere una opera d’arte sulla facciata. Ma, purtroppo, non sono riuscito a leggere tutta la scritta…

Si vede che è stata ristrutturata bene e non moltissimo tempo fa. Mi piace il fatto che le case del genere vengono recuperate.

Alcune porte sono chiuse in un modo un po’ primitivo… Mi sono venuti in mente alcuni cacciatori russi della taiga che non chiudono mai a chiave le loro isbe-rifugi nelle foreste per farle utilizzare alle persone finite nelle situazioni di estrema difficoltà (infortuni, guasti delle motoslitte, cambiamenti improvvisi del tempo etc.). Non so se da qualche parte delle montagne europee ci sia una usanza simile (forse no), ma una situazione estrema può capitare a chiunque e in qualsiasi punto del pianeta. Di conseguenza, vi ritrasmetto il consiglio di quei cacciatori: non toccate quello che non vi serve per sopravvivere, lasciate tutto in ordine come era prima del vostro arrivo e, prima di andare via, rinnovate la scorta della legna (se l’avete consumata almeno in parte).

Mentre noi abbiamo già visto tutto ad Avedée: considerate le sue dimensioni, non ci voleva molto tempo. Riprendiamo dunque il sentiero per andare avanti. Gli alberi diventano progressivamente più rari, si vedono i primi prati. Sul lato sinistro del sentiero compare una piccola chiesa.

È la piccolissima chiesa di S. Antonio da Padova (fa formalmente parte del villaggio Avedée). Purtroppo, al momento del mio passaggio era chiusa, non so nemmeno se e quando sia possibile vederla dentro (dai finestrini bui non sono riuscito a distinguere proprio nulla). Mancano pure le indicazioni sulla epoca della sua costruzione.

Vicino alla chiesa troviamo ben due cenotafi. Il primo è proprio attaccato alla chiesa ed è dedicato a due persone morte in epoche molto diverse: nel 1987 e nel 2019. A giudicare dalle foto e dai dati indicati, entrambi erano del posto, forse anche parenti stretti.

Il secondo cenotafio vicino alla chiesa è quello che si trova accanto alla fonte d’acqua potabile (così sostiene il cartello, io non l’avevo assaggiata avendo avuto la propria) e al cartello informativo.

È dedicato a uno scout. Successivamente ho notato che lungo il sentiero sono presenti anche altri, non pochi, cenotafi dedicati agli scout: una «densità» (o coincidenza?) che non so ancora spiegare.

Le due case pochi metri sopra la chiesa non sembrano essere abitate in una modalità regolare.

Pochi metri sotto la chiesa, invece, passa uno dei rami del trasporto a fune di materiali – ma non di persone! – che serve i villaggi della valle. Effettivamente, tutti quei villaggi possono essere raggiunti solo a piedi (ma non tutti hanno le abilità da sherpa) o in elicottero (un mezzo non tra i più economici), quindi è utile avere uno strumento che faciliti almeno il trasporto di oggetti pesanti o voluminosi.

Ma noi non siamo degli oggetti, quindi andiamo avanti, verso la nostra prossima tappa, con le proprie gambe. Lungo il sentiero incontriamo altre cappelle di dimensioni e qualità artistiche molto varie.

Il sentiero continua a essere facile, ma ci ricordiamo che la distrazione è uno dei nostri peggiori nemici.

Iniziano a comparire dei brevi tratti del sentiero messi in sicurezza in un modo particolare: non sempre inutilmente (guardate la parte superiore del «cornicione» sulla prima foto) e non sempre dall’uomo (e nemmeno dal personaggio inventato dall’uomo, ahahaha).

Ma poi, all’improvviso, il sentiero diventa nuovamente di un aspetto per nulla roccioso e «severo»…

È il segno del fatto che siamo quasi arrivati alla nuova tappa importante del nostro cammino: il villaggio Codera. Per non stancarvi troppo, però, dedico a esso un racconto separato.